La prima volta che arrivai all'isola di
Ponza era il 1977, cioè una vita fa.
Con Sandro stavamo già insieme da un
anno, ma l'impatto con la sua cultura d'origine per me fu abbastanza
traumatico.
A Milano lui si comportava esattamente
come noi e quando si andava in vacanza assieme con il gruppo di amici
anche lui dava una mano, come tutti, a preparare da mangiare e a
lavare i piatti.
Le cose cambiarono quando arrivammo a
Ponza.
Mia suocera all'epoca era una vigorosa
donna di mezza età con tutte le sue certezze ben stampate in testa,
io ero una vigorosa femminista con tutte le mie certezze altrettanto
ben stampate in testa.
Potete immaginarvi lo scontro,
soprattutto quando vide il figlio lavare i piatti!
Ricordo con molto affetto le parole che
Nannina diceva al figlio a bassa voce per non farsi sentire da me “
Tu sì scemo! Solo i femmine lavano i piatti! ”
Per qualche tempo non seppi come
comportarmi con questa donna meridionale orgogliosa e attaccata alle
proprie certezze.
Poi, con l'andare degli anni ci
avvicinammo e cercammo entrambe di smussare i nostri angoli troppo
appuntiti e di comprenderci.
Quando Nannina morì soffrii quasi come
se fosse morta mia madre.
Io forse le avevo portato qualcosa di
nuovo ed inatteso in casa; lei mi aveva insegnato a rapportarmi con
un mondo completamente diverso dal mio.
Ci sono tanti aneddoti di quegli anni,
ma ovviamente non posso raccontarli tutti.
Un ostacolo terribile era il dialetto:
non so le volte in cui ho fatto delle figure di m.... perchè non
capivo o travisavo.
“Lucia!( Luciana ) chesta zuppa è
nu poco sciocca!”
“Perchè non ci hai messo il sale
doppio?”
Che una minestra potesse essere stupida
o che il sale potesse essere “doppio” non me lo sapevo proprio
spiegare.
“Domani è l'onomastico di
Nannina; amma fa a pizza!”
Strano paese, dove si festeggia
l'onomastico ( a Milano non si festeggia ) e per di più con la
pizza, non con la torta...poi arriva Lina con una torta ed io rimango
ancora più confusa: “ Ma non dovevi fare la pizza?” “ E
chesta è a pizza!” “ E va beh, allora la pizza come la chiami?”
“E chella è a pizza napulitana!”
E poi il “mellone i pane” e “il
mellone i acqua”, i “friarielli” e “a petrusina”...a volte
non sapevo cosa avrei visto nel mio piatto...
Una volta mio nipote Davide è stato da
noi per qualche mese ed è capitato che ascoltasse della gente
parlare in milanese.
Ovviamente lui non capiva nulla, allora
si è girato verso di me e mi ha detto: “ Ah zì , mo aggia
capito come ti sentivi le prime volte che venivi a Ponza!”
E poi le urla.
Io ero abituata alle urla di mio padre
in famiglia, ma se urlava voleva dire che era arrabbiato.
Qui urlavano tutti senza motivo ed io
ogni volta mi spaventavo.
Una volta mio cognato Livio si era
messo ad urlare con un cugino ed io ero convinta che sarebbero venuti
alle mani, così chiamai Sandro preoccupatissima.
“Ma quelli stanno solo discutendo,
non ti preoccupare!”
A parte gli aneddoti simpatici il mio
rapporto con l'isola di Ponza è sempre stato abbastanza controverso.
Da una lato la mentalità meridionale
mi piaceva un sacco; in casa mia gli ospiti erano rari e
accuratamente selezionati, in casa di mia suocera “ si allungava
la tavola” ; appena arrivava
una persona, che fosse un parente, un amico o un semplice passante
era sempre il benvenuto.
E questo per me era
sorprendente; da Nannina si respirava sempre aria di famiglia, di
comunità, cosa piuttosto sconosciuta sulle tavole delle famiglie
brianzole.
D'altro lato,
però, soffrivo della mancanza di spazi privati e di riservatezza.
In casa poteva
capitare chiunque a qualsiasi ora e questo era divertente ma a volte
anche un po' scocciante.
Ricordo una
passeggiata solitaria un pomeriggio di agosto di tanti anni fa, da
Calacaparra alla Chiesa; ad ogni angolo c'era qualcuno che mi
salutava, che mi chiedeva che facevo, come mai ero da sola, e come
mai non c'era Sandro e dove andavo a quell'ora e perchè non prendevo
la corriera...ecc ecc....
A
volte mi sentivo un po' schizofrenica: a Milano i rapporti con i miei
parenti e con i miei concittadini erano spesso formali o a volte
distaccati; a Ponza venivo catapultata in un mondo in cui la famiglia
era al centro di tutto e nel quale l'ospitalità, ma anche il “farsi
gli affari degli altri” erano
degli imperativi.
Con il passare del
tempo i rapporti con i miei parenti ponzesi divennero via via sempre
più cordiali; spesso alcuni di loro venivano da noi in inverno
oppure passavano dei periodi più o meno lunghi in casa nostra e
questo mi aiutò a comprenderli e a scoprire il loro grande
potenziale di umanità e di solidarietà.